Oltre le Quinte associazione di promozione sociale a vocazione culturale; costituita nel 2016, è composta da esperti dei linguaggi artistici in ambito sociale-educativo e da professionisti delle arti performative, ha gruppi di performer danzatori e musicisti, che coinvolgono persone con disabilità e fragilità. Oltre le Quinte lavora in rete con organizzazioni culturali, artistiche e sociali ed è coinvolta in tavoli di progettazione partecipata per la proposta di interventi volti alla promozione del benessere e all’aggregazione di bambini, giovani, adulti, anziani.
Elabora progetti finalizzati alla costruzione di una cultura accessibile e inclusiva, dove le diversità possano rappresentare valore, proponendo esperienze artistiche per la Comunità attraverso laboratori di movimento, percorsi coreografici e musicoterapia orchestrale.
LABORATORI ARTISTICI PER LA COMUNITA’
Da noi la cultura è accessibile e la diversità un valore. Per questo promuoviamo esperienze artistiche per la Comunità attraverso laboratori di movimento, percorsi coreografici e musicoterapia orchestrale.
«Interrogarsi su cosa sia lo Stato di Grazia in questo tempo è come lanciare uno sguardo nella notte. Una notte che per quanto scura possa apparire a prima vista, si rivela piena di lucciole» Francesca Cola.
Nel 2019 l'associazione Oltre le Quinte ha prodotto la mostra “Stato di Grazia”. L’autrice del progetto, Francesca Cola, ha guidato i performer dell’associazione in un intenso lavoro immaginativo corporeo rivolto alla creazione autoriale di un'immagine fotografica, realizzata dalla fotografa Silvia Pastore, rappresentante lo "Stato di Grazia" personale di ciascun partecipante.
Le due artiste torinesi, con la mediazione di Cristina Pastrello coordinatrice di Oltre le Quinte, hanno guidato le persone in un percorso di creazione unica, il cui esito sono state 19 opere, esposte per la prima volta presso lo spazio nòva di Novara. Il progetto nella sua evoluzione prevede anche una produzione di danza, quadri di movimento ispirati allo Stato di Grazia e un processo partecipato di Comunità.
L'inizio del lockdown, ha però bloccato il lavoro in presenza. In questo periodo di sospensione il gruppo ha deciso di non interrompere il lavoro di Comunità, ma di trasformarlo per renderlo possibile anche a distanza attraverso una call pubblica.
Francesca Cola ha guidato i partecipanti, attraverso un messaggio vocale, in un processo immersivo e di creazione immaginativa. In un secondo momento, Silvia Pastore ha realizzato uno scatto a traduzione di questo immaginato. Uno scambio di informazioni gestito ed elaborato dai luoghi della permanenza forzata, in una rete fitta e quotidiana di comunicazioni terminata entro lo scadere della prima fase di chiusura.
L’esito del percorso artistico è la creazione di una galleria di venticinque immagini rappresentativa degli Stati di Grazia individuali.
#1 ANTONELLA GIANCIPOLI
E' stata un'esperienza molto forte, concreta, corporea. Ho visualizzato un abbraccio. Ero tra le braccia di qualcuno e a mia volta abbracciavo quelle braccia.
Sono partita da una posizione supina e piano piano ho iniziato a non sentire più il pavimento che mi sosteneva. Avevo come un vuoto sotto e attorno a me. Ho sentito la mia schiena inarcarsi e il bacino arrivare in posizione più elevata rispetto alla testa. Sono arrivata a essere una U a testa in giù. La sensazione era così forte che ho avuto addirittura la nausea. Poi è sopraggiunto un calore nella schiena e una percezione fresca e frizzante nella parte anteriore del corpo. Ho iniziato a sentire una maggiore flessibilità, la testa si è piegata e inarcata fino quasi a sostituirsi al bacino, quasi ad incastrarsi. Come se il bacino e la testa fossero perpendicolari. Non sentivo più il peso della testa ma percepivo chiaramente le anche e il pube con un estremo calore. Si trattava di un vuoto che si andava a riempire. Ho avuto dei giramenti di testa, le vertigini si sono sostituite alla nausea. Non ho visualizzato un colore. Forse solo grigio e bianco. Mentre lasciavo quello spazio mi è arrivato un freddo e ora ho ancora i brividi.
#2 FRANCESCA MITOLO
Chiudo gli occhi, respiro, mi sento. I pensieri hanno dita invisibili. Vedo una bimba con un vestito giallo chiaro di lino spesso, scende le scale di pietra e si appoggia alla ringhiera verde un po’ scolorita. Sono nel mio posto: le mie montagne, la baita dei miei genitori, i fiori di mamma, la strada con le pietre che portano alle scale dove papà ha messo l'ombrellone del mare. I miei boschi.
Sono in un prato, l'erba sottile, l'aria è calda e accogliente. Io chiudo gli occhi e sento il vento piano, leggero, mi muove i capelli ricci. Allargo le braccia, sollevo la testa e mi lascio avvolgere dalla luce calda. Sfioro con la punta delle dita l'erba. Respiro la luce, il mio Stato di Grazia. Ho indosso un golfino giallo, sento la voce di una bambina che ride di gusto. Piango. Vedo una tenda da campeggio in lontananza e ci sono P. e M. Mi giro e vedo la casa dei miei genitori, la mia mamma mi saluta con la mano dal balcone, è felice. Sento l'odore della lavanda che le ho regalato, il profumo dell'erba e delle felci. Non voglio andare via. Piango. Voglio stare ancora lì. Sentirmi sicura, leggera, perfetta. Saluto a fatica il mio posto, faccio dei piccoli cerchi nell'erba, provo a piantare dei semini. Ritorno. Qui e ora.
#3 GUGLIELMO DIANA
Piazza Giovanni Astengo. Una piccola piazza che sta dietro casa mia. Ha un perimetro circoscritto dalle abitazioni e queste creano come un perimetro a forma di 8 anche se la piazza è squadrata ed ha colonne rigide. Ci sono le finestre delle case ed è sera e non tutte emettono luce; alcune hanno la luce dei televisori che creano intermittenze blu; altre invece, quelle delle cucine e dei bagni, sono gialle. La piazza ha una luce artificiale ma non è troppo illuminata. La piazza ha delle piante che normalmente non hanno odore, ma oggi ha piovuto e c'è odore di umidità. Qui ci sono i sanpietrini e li sento con i piedi in ogni punto in cui c'è pressione del peso del corpo. E' una piazza molto calma e le uniche voci sono quelle che arrivano dai televisori o da qualche passaggio di auto in questo momento di quiete mondiale. Quello che vedo sono colori opachi, grigio chiaro; si, c'è molto chiarore; c'è molta pace. Questa piazza è sempre calma. Io qui sto bene perché è normale, silenziosa, quasi metafisica. Se percorro il perimetro a otto, sono sotto i portici e passiamo per dei piccoli tunnel. Al centro dell'otto c'è un tunnel nell'incontro tra i due cerchi e c'è un passaggio. Lì ci son delle luci. Io guardo il cielo e vedo la gru che vedo da casa mia e il cielo è di bronzo. Il cielo ha il colore del bronzo. Questa piazza è Giovanni Astengo ma io la chiamo Bronzo, proprio per questo. Non mi ero mai accorto che il cielo avesse il colore del bronzo.
#4 ROBERTA MONTARULI
La casa in cui andavo d'estate, da bambina. Due finestre. Un armadio. La luce del pomeriggio. Sento le voci degli adulti che parlano al piano di sotto, ovattate. Sento l'aria tiepida che arriva dal mare. Il bianco e il rosso. Forme geometriche. Quattro scalini e il mancorrente.
Sono da sola, sdraiata, sotto di me la morbidezza. Sopra il soffitto bianco e il cielo pulito.
#5 VALENTINA PERASSO
Il primo posto che mi viene inevitabilmente in mente è il mare ma non uno qualsiasi, quel mare, quella spiaggia, in quell'angolino esatto. E' fine settembre e sono sola. La luce é calda e accogliente. Vedo strisce d' ombra che arrivano dalla staccionata che ho alle mie spalle.
Intorno c'é silenzio, nessuna voce, solo ogni tanto quella che proviene da chi, quella spiaggia, ci abita e sta preparando il pranzo. Il solo rumore che sento é quello delle piccole onde che s'infrangono a riva: la sola melodia che le mie orecchie vogliono sentire qui, la migliore, la più desiderata. Il profumo che prevale é quello della mia pelle scaldata dal sole. Solo dopo, arriva il profumo del mare, ma a quello il nostro naso si abitua in fretta.
Sotto di me il calore della sabbia, il mio corpo ha creato il suo stampo, comodo, le mie mani accarezzano quei piccoli granelli, scivolano tra le dita e sembra di toccare il velluto, morbido e caldo. Intorno a me solo colori leggeri: l'azzurro del mare e del cielo, l'avorio della sabbia, e alle mie spalle, il giallo e il rosa delle piccole case adagiate sulla spiaggia. Quando mi alzo, mi muovo a piccoli passi verso la riva, osservo l'immenso mare azzurro davanti a me, mi guardo intorno per vedere se ci sono persone intorno, sono poche quelle che mi passano accanto, pochissime. Respiro a fondo l'aria calda e profumata di sale che mi avvolge. Se alzo lo sguardo, vedo solo cielo con qualche nuvoletta bianca che ogni tanto lo attraversa, tanto cielo e tanto azzurro a calmare la mia anima. E' per me il mio Paradiso questo. Il posto che mi mette in pace con me stessa. Lo sento Mio e Speciale e per questo ci vengo sempre da sola. E' il mio posto e qui mi sento a casa. Respiro e sento l'odore del mare e del talco della crema sulla mia pelle. Sorrido sempre a quel mare quando me ne vado. Entro con i piedi nell'acqua fresca di settembre, lo guardo tutto, sorrido, lo ringrazio per accogliermi sempre e gli prometto che ci vedremo presto. E' come se lo abbracciassi. E lui, me.
#6 CHRISTIAN FUSCO
Mi sono trovato al risveglio durante un pomeriggio soleggiato d'estate. Quando ti risvegli e tutto si riaccende e in pochi secondi sei di nuovo nel turbine dell'io, nel turbine degli affetti e del mondo. Il luogo è la casa dei nonni. Ricordo il risveglio al pomeriggio con le persiane chiuse e la luce che filtra, a righe. Ricordo la sensazione di benessere al risveglio, al pensare che stavo bene, che in casa qualcosa si muoveva; le voci fuori che mi ricordavano che esisteva un mondo che funzionava e che attendeva di essere vissuto insieme alle altre sfere. L'immagine quindi è questa, un risveglio, io che mi muovo per sgranchirmi e nel frattempo sono coccolato e rassicurato da tre sfere, turbini che io stesso riattivo.
#7 CHIARA COLOMBO
E’ una lama di luce. Dolce. Luce che mi segue, nel tempo, nella mia infanzia e mi porta qui ora. Sono Chiara ho sette anni. Indosso un completo calzoncini e canotta. Sono accovacciata dentro ad una bacinella blu. Un filo di acqua raggiunge le mie caviglie. Sul pavimento ruvido del balcone c’è un angolo netto, sembra tracciato con righello e matita. Divide il mondo in due. Nero o luce. Luce. Sono immersa dentro quel fascio luminoso. Sento l’estate entrarmi in vena. Mi lascio accarezzare le guance dalla beatitudine. Il calore del tardo pomeriggio. La giusta temperatura, quella che non ti brucia. La temperatura della lenta lievitazione. Assorbo il giallo dalle mie pupille. Il cuore è calmo come il mondo fuori. Al mio fianco un cucciolo fa la guardia, è una piccola pianta di basilico. Il suo profumo mi riempie i polmoni del verde.
Alzo la testa, nel cielo, nemmeno una nuvola a sporcare quell’azzurro intenso dipinto con un’unica pennellata. Da lontano la mia mamma mi chiama, ma è troppo lontana per essere a casa.
Il suono mi culla è melodioso e ovattato. Raccolgo, con le mani a conca, dell’acqua dal fondo della bacinella. Alcune gocce cadono fuori, altre seguono un percorso tutto loro sul corpo. Si rincorrono ed io le osservo come formichine prendersi, fondersi ed evaporare in questo tardo pomeriggio. Sono dentro una lama di luce, con un cuore di sette anni nel petto.
#8 ESTER MAROSSI
Camminavo costeggiando il torrente. Mi ricordavo quel posto, c’ero stata questa estate con un gruppo di amici, l’avevamo scoperto per caso cercando un luogo dove fare un picnic. Adesso ero sola, mi dirigevo a passo spedito verso il prato, rallentando solo per fermarmi e sentire il profumo del glicine appena fiorito. Pendeva dall’albero del giardino, l’aveva sommerso con i suoi fiori viola e il suo profumo si diffondeva prepotentemente nell’aria nascondendo tutti gli altri odori. I petali erano vellutati, soffici e al primo soffio di vento si staccavano volando nell’aria e posandosi sull’acqua. Procedevo in verso opposto rispetto alla corrente e osservavo le alghe, appena sotto la superficie, distendersi sui sassi e affiorare nei punti in cui il torrente era meno profondo. A tratti l’acqua formava anche dei mulinelli in cui vorticavano le foglie. Il prato non era cambiato, si vedevano in fondo al campo i mucchi di erba fresca appena tagliata, erano più alti dello steccato del quale si intravedevano solo alcune parti con la vernice un poco scrostata. I rami degli alberi si protendevano fino quasi a sfiorare l’acqua, altri invece si intrecciavano tra di loro, in alto sopra la mia testa, permettendo al sole di filtrare tra le foglie e dipingere macchie luminose sulla terra. Si trovava nel centro una magnolia, l’ultima volta che avevo provato a salire ero arrivata solo fino a metà, oggi invece, avevo quasi raggiunto la cima. Ero seduta penzoloni e potevo osservare il campo oltre il fiume nel quale alti fili d’erba lasciavano intravedere la carcassa di un pino, le radici si proiettavano verso l’alto, nel vuoto, ricoperte di terra. Dalla mia posizione, spostando le foglie con la mano riuscivo a studiare perfettamente il corso del fiume; interrotto solo da una piccola rapida, il suo corso procedeva lento e calmo. Dalla spiaggetta proveniva il ronzio delle vespe che volavano tra l’erba più umida. C’era, sullo stesso ramo su cui ero seduta, una corda stretta saldamente al termine della quale era legato un pezzo di legno, un’altalena improvvisata che con una piccola rincorsa era il mezzo più veloce, e anche il più divertente, per tuffarsi in acqua. Si sentiva immediatamente quanto fosse fredda, le dita dei piedi si intorpidivano ed ero costretta a correre fuori per riscaldarmi. Facevo ruote e capriole rotolandomi sul prato, correndo e poi lasciandomi cadere per terra ridendo. Aspettavo che il respiro si calmasse tenendo gli occhi chiusi. I miei piedi erano infangati, l’acqua del torrente si era mossa a causa del mio tuffo e il fondale non si vedeva più. Restavo sdraiata per terra con i capelli sparpagliati sull’asciugamano e le dita che giocherellavano con i fili d’erba. Si sentivano gli uccelli rincorrersi nell’aria, i sassi della spiaggia smossi dal lento defluire dell’acqua e una capra che belava in lontananza. Verso sera il sole cominciava ad allungare le ombre. Allora, i riflessi dei rami si confondevano sulla superficie dell’acqua e tutto si colorava di una luce più arancione, o rosea, dipendeva dai giorni, e ogni cosa, non più illuminata dalla luce abbagliante, assumeva un contorno più definito. Ero seduta sulla riva, in un punto in cui la terra era franata ed era possibile tenere i piedi a mollo nell’acqua. Era quello il momento più tranquillo della giornata, quello che preferivo, in cui non ero costretta a strizzare gli occhi per guardare in controluce ma potevo abbracciare quello che mi circondava con un solo sguardo. Mi alzavo, univo le mani, i palmi aperti e facevo una sorta d'inchino, per salutare, per ringraziare ancora una volta quel posto immutato nel tempo. Mi giravo e ritornavo sulla strada, questa volta camminando nella stessa direzione della corrente.
#9 MICHELA POCATERRA
Hai presente quando cammini in piano con il sole tiepido in faccia e il corpo dentro che si muove lento? Quella sensazione di benessere fisico senza sforzo alcuno, con gli occhi quasi socchiusi, immersi nel verde intorno che ti abbraccia e ti spinge in avanti; con le orecchie ninnate dai grilli e dal rumore di una segreta acqua lontana pronta a lavarti se serve e nel naso quell’odore di lenzuola pulite che in nessun’altra casa nel mondo riuscirai a ritrovare.
Ecco, questo è il mio stato di grazia. Una camminata lenta in piano con il sole in faccia; e così la vita dovrebbe essere … non una salita e non una discesa
#10 JIMMY RIVOLTELLA
Io e mia figlia ci siamo avventurati.
Il mio stato di grazia
Campo di erba medica. Due alberi a destra e a sinistra null’altro. Mi vedo di spalle. Sopra di me solo l’azzurro. I suoni sono quelli naturali. Il profumo è quello dell’estate, di crema al cocco prevalentemente. Me ne vado poi sorridendo, i piedi sono leggeri.
Lo stato di grazia di Mia figlia
Sdraiata in un giardino pieno di fiori e un merlo fermo. Il cielo azzurro e una nuvola bianca al centro. Il rumore è quello del vento e il ronzio delle api e il profumo è quello del miele. Lei dice: mi sono alzata e me ne sono andata, ero felice.
#11 ENRICO PASTORE
Il muro di pietra del porto vecchio. Una breve virgola che si affaccia su un lago primordiale, non visto così nemmeno dai miei nonni. Il sole si affaccia dietro i monti lombardi e si specchia illuminando i cigni che volano sul pelo dell'acqua finalmente liberi dalla presenza umana. I germani reali si tuffano alla ricerca di cibo. I gabbiani si accoccolano sui pali dei battelli. La madonnina del porto guarda le barche immobili con sguardo amorevole. La campana della chiesa suona l'ora del mattino.
#12 PATRIZIA VEGLIONE
Un'amaca sovrastata dagli esili tronchi e dalle fronde delle antiche tamerici. Attraversate dal vento, producono una lieve armonia. Sfiorata dall'ombra sullo sfondo mi appare il cristallino turchese del mare, immobile. Calmo. Mi dondolo. Tutto appare così vero. Quell'autenticità che solo la natura esprime. È uno stato di grazia.
#13 MANUELA PAVAN
Ho visto un bosco in primavera, le foglie nuove, verdi e tenere; l'erba fresca, verdissima. La luce del sole filtra dall'alto e illumina l'ambiente che non è troppo caldo o troppo freddo. Ciò che filtra attraverso il Sole non è solo la luce ma anche il tepore. Sento attorno a me uccelli e un ruscello che però non scorre veloce ma lento. E' un luogo di pace ed ho ringraziato sentendomi parte di esso. Ho sentito il profumo di terra umida e della resina degli abeti, che è un profumo della mia infanzia, anche se gli alberi che vedevo erano castagni.
#14 ANNALISA MILANO
Ho visualizzato un luogo in Val d'Aosta, anzi più luoghi in Val d'Aosta, alta montagna. Intorno a me 360 gradi di montagne, valichi, valli, sentieri. Le montagne sono tutte intorno e io sono lì nel centro, protetta ma libera. Spira lieve il vento, sibila. L'erba é soffice, i fiori sono profumati , fiori di montagna. C’è l'odore della terra umida e dell'aria fresca e pulita. Un caldo rifugio alle mie spalle ma tutto il luogo è un unico grande rifugio.
L'orizzonte é lontano al di la delle montagne, l'ora è quella del tardo pomeriggio, il cielo ancora per un po' blu.
#15 CLAUDIA ALLASIA
Mi ha fatto uno strano effetto ipnotico di dejà vu ascoltare la tua voce ma mi ha aiutato a giungere ad una rapida deduzione. La mia vita è stata ed è, nonostante i dolori, le malattie, i problemi e le morti, piena, anzi stracolma, di stati di grazia. Alcuni casalinghi, generati dal camino acceso nel cucinone, mentre la minestra cuoce sul fuoco e Radio-3 -Suite trasmette Claire de Lune di Debussy. Altri provocati da una strepitosa fioritura di rosa Alba Purissima, di peonie Sarah Bernard e una gigantesca Clematis Montana. Stati di grazia di ore felici che sembravano non dover mai finire. Per somiglianza o per contrasto dopo uno ne ricordavo un altro, poi un altro e un altro ancora. Sempre momenti di grazia corporea e naturalistica, caratterizzati da sensazioni concrete di gioia e benessere fisico e spirituale. Ad esempio il senso di leggerezza e di volo di una discesa con gli sci in un giorno feriale nel Parco del Gran Paradiso innevato e deserto. L' aria frizzante sulle guance, i polmoni saturi di balsamo di pino e odori selvatici di camosci e stambecchi. E poi la nuvola di vapore che appanna il bagno, il calore dell'acqua bollente sulla schiena. Il tepore protettivo del piumone, il libro ritrovato della settimana precedente, il the, i biscotti, le voci amichevoli di un' intervista letteraria a Radio France, il paese a valle che s' illumina di luci lungo il prato di Sant' Orso. Luci di un altro stato di grazia accese sul lungomare di Calvi al crepuscolo, all'inizio del trekking della Grande Randonnée de la Corse, al sicuro nella mummia comprata apposta da Decatlon, mentre un Bobino si scalda sul fornelletto da campeggio su un pietrone alto e quadrato come un letto a due piazze al centro di un fiabesco bosco di faggi. E un cielo trapuntato di stelle tra le dune rosa dell' Erg d' Admer tra l' oasi di Djanet e Tamanrasset, a faccia in su nel sacco a pelo nel campo Tuareg col falo' al centro, sotto le guglie di rocce preistoriche istoriate dal vento. Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me. Rivelazione kantiana evidente e cosmica, come la scoperta che quel cielo di strabiliante bellezza non è piatto ma concavo e, allungando le mani, é possibile toccare le stelle, a destra, sinistra e di lato, mai cosi vicine, grandissime e brillanti.
#16 DAVIDE MONTORSI
Il limitare del bosco dell'Appennino, quindi dolce. Sono sdraiato sotto un abete che mi fa ombra. Davanti a me una radura con l’erba molto verde in cui ci sono milioni d'insetti, ricco di vita. Oltre la radura vedo le montagne che si innalzano dall'altra parte della valle e hanno ancora una spolveratina di neve sulla cima. Non c'è alcun rumore artificiale ma mille suoni leggeri e naturali. Il ronzio degli insetti, gli uccelli, i tronchi che scrocchiano, il vento. Ho le dita che affondano nella terra morbida e sento l'odore della terra, del muschio e della resina del bosco. Il clima è mite e sento un tepore sulle gambe e una frescura sulla testa che sta all'ombra. Il sole filtra tra miliardi di aghi di pino. Non sono solo; ci sono amici che non vedo, ma sento le loro voci che chiacchierano. E’ come un meritato riposo dopo una lunga camminata.
#17 MARIA ELENA SEIDENARI
Nel mio stato di grazia ci sono solo cose femmine. Erba, albero (che in latino è femminile), cane femmina, bambina lucente in lontananza, luce insidiosa. E’ un luogo reale in cui potrò tornare. E’ un rettangolo di prato molto vicino alla casa in cui sono nata e ancora più vicina alla casa di mia nonna. Tutte le mie beatitudini finiscono per essere collocate attorno a quella casa e a quegli alberi secolari che per me sono delle colonne. Sono cresciuta con un noce e un tiglio e là dove un noce non c'è più, abbattuto una decina di anni fa perché malato, là c'è una quercia che è stata piantata quando sono nata io. Ora è così grande e maestosa eppure io sono così piccola in confronto. Il mio stato di grazia ha un posto ed è nei paraggi di quell'albero. Sono sdraiata per terra sprofondata tra i fili d'erba. Là l'erba è sempre molto verde perché le case sono pericolosamente vicine all'argine del fiume e il terreno è molto fertile. Quell'erba è verde, morbida, molto alta ed io sprofondo. Ho un bisogno innominabile di mettermi in ginocchio in un prato e chiedere scusa. Il mio posto per la grazia è lì, a quella latitudine. C'è il mio cane di fianco a me. L'odore del mio stato di grazia è l'odore del mio cane. Qui si dice odore di "cagnusso" che è indispensabile per me. Il mio stato di grazia è fatto di regno animale e regno vegetale in estrema prossimità corporea. La luce è gialla di rifrazione perché i muri della mia casa sono di un'arancione medioevale, ocra e quindi la luce è gialla; come sempre quando sono in uno stato di vicinanza alla beatitudine c'è una luce che insidia un po’ le mie pupille. Ecco, se gli odori mi calmano la luce invece è davvero insidiosa e i mie occhi acquosi non ne sopportano l'intensità. Mi trovo a dover sbattere ripetutamente le palpebre. In quello sbattere ripetuto, in quel ritrarsi di pupilla, io accedo a una sorta di allontanamento dal contingente e là dove arretra la pupilla io trovo l'intuizione, un nodo che non tiene, un piccolo crollo, qualcosa che non regge nell'impalcatura dei significati che moltiplichiamo per crederci integri in questo mondo. Ecco io lì con quella luce accedo a degli slittamenti. In lontananza si sente la voce di mia nipote che è l'essere più importante su questa terra per me, ed è la creatura che ispira tutti i miei slanci etici e politici nel mondo. Lei è in lontananza, non è lì appiccicata a me come il mio cane. Lo è solo nella misura in cui ne ha voglia. Il mio cane invece vuole essere sempre vicino a me quando sono in giardino. Riaprendo gli occhi, la luce qui è lontana da quel luogo di grazia ma è ugualmente insidiosa. Un'insidia grigia ma non meno deliziosa.
#18 TEA TARAMINO
Immersa nel mare tiepido, mi sento senza peso. Cullata dalle onde guardo in alto il cielo al tramonto che cambia colore e assaporo l'odore del mare e della macchia mediterranea che insieme formano una fragranza inebriante.
#19 LUCIA ROSSANIGO
È l'alba e l'aria è fresca. Le montagne sono illuminate da una luce bassa e calda. L'acqua del lago è ferma, immobile ed è chiara, quasi bianca; riflette come uno specchio le verdi montagne che la circondano, il cielo azzurro e le nuvole bianche si muovono piano. Non ci sono rumori, se non il suono della natura; le verdi foglie creano una melodia con la brezza leggera che passa tra gli alberi. Fluttuo a pochi centimetri da terra, il mio corpo è leggero, sento l'aria frizzante del mattino attraversarmi e un dolce profumo di mirtilli grossi e succosi.
Osservo la valle da una sponda lontana del lago, sopraffatta, ammiro l'immensità selvaggia ed eterna della natura e vedo tutto, anche il più piccolo sasso.
#20 ALBA GALBUSERA
Seduta sulle rive del Ticino. Il fiume è in secca. La spiaggia dei grandi sassi sarà larga almeno dieci metri. Fino ad un certo punto i sassi sono tutti bianchi come se il fiume, ritirandosi, avesse lasciato sopra una patina candida. Di fronte a me la sponda opposta è irraggiungibile mentre dalla mia parte la spiaggia è vasta e piatta; dall'altra, la sponda è alta e completamente piena di verde. Non c'è il sole, è coperto da uno strano alone ma non fa freddo. In questo luogo saltello da un sasso all'altro cercando di appoggiare soltanto la punta dei piedi. Lo faccio da quando sono bambina. E' un gioco silenzioso e in questo luogo io non cado. Quando mi siedo, posso sentire tutto il silenzio di un parco, di un bosco inabitato. Posso sentire l'odore dell'acqua del Ticino, ricorda l'odore dello stagno che non è piacevole, ma è famigliare. Faccio dei lunghi respiri e sento tutta la fortuna di non dover dire niente. Ogni tanto qualche uccello vola sopra la mia testa. Io alzo lo sguardo sapendo che non lo riconoscerò ma che trovo comunque meraviglioso il dispiegamento delle sue ali. Stendersi lungo le rive del Ticino è molto difficile perché è pieno di sassi. A me piace trovare l'incastro della mia schiena tra questi e spostare il sasso che non può garantire la comodità. Sdraiata pancia in su guardo il cielo che non ha un colore e non ho bisogno di pensare o dire niente. E’ un luogo di niente.
Ci vado perché so che in quel niente troverò qualcosa e che se ho dei dubbi su dove andare, quello è sempre un luogo sicuro che mi darà qualcosa. Mi viene un po’ di freddo su quei sassi che hanno una storia che non posso immaginare. Sento tutto il peso della storia delle popolazioni passate. Mi alzo, mi godo un altro poco di silenzio e decido di andare. La cosa più bella di questo luogo è che anche andare via è sempre una scoperta. Mi devo ricordare i punti di riferimento per raggiungere il mio stato di grazia. Mi infilo tra due rami in questa spiaggia desolata ed ecco che ritrovo il sentiero solcato dai passi. Mi volto ancora un attimo verso quel luogo e lo ringrazio come se dovessi tornarci e sapere che non sarà lo stesso della volta precedente. Lo stato di grazia è uno stato che muta insieme alle piene e alle secche di questo fiume. Per una volta sarò io ad adattarmi a lui e a viverlo per quello che è e quello che sarà. Vado via, mi lascio alle spalle un luogo speciale contenta di averlo condiviso con qualcuno che ha capito senza chiedere.
#21 VALENTINA FERRARI
È come fluttuare in uno spazio senza fine. Sotto di me terra e verde, odore di corteccia, muschio. Luce intorno. Dentro. Mi intrufolo con i piedi nel verde: sento la terra infilarsi tra le mie dita, seguire con il movimento dei piedi, il mio respiro. Morbida e umida. Respirando entra la luce, la stessa che filtra tra gli alberi se riapro gli occhi.
#22 GIULIO PEGORARI
E' un saliscendi. Senza peso mi lascio scivolare verso il profondo del mio intimo, che conosco ma che ogni volta ritrovo nel suo regalarmi preziosi momenti per stare con me stesso, nell'avvolgente e ondosa calma del respiro e nell'animato silenzio. Questo scendere comporta subito un leggero salire con passi sicuri e immaginari verso una sommità, senza fatica ma sospinto da un' energia che mi è propria. La sommità raggiunta è lo stesso intimo che assume una nuova forma viva. Sono di nuovo e ancora con me stesso, accompagnato dal respiro che si è fatto vento leggero e fresco. Lo sguardo è molto largo, aperto in una luce calda e limpida, quella dei monti: fa un giro completo, lo sguardo, e poi un altro, ogni volta raggiungendo montagne più alte, una cornice lontana che mi contiene e protegge nella sua altezza. Ogni montagna ha un suo profilo che ne rivela il carattere: nevoso e tondo, roccioso e spigoloso, erboso e morbido. E' un movimento lento e avvolgente che vuole tendere all'immobilità, scelta per ascoltare ed ascoltarsi. Quel vento è la musica che mi accompagna, e mi suggerisce che è il saliscendi che concede quel momento, dall'intimo alla sommità, dalla sommità all'intimo: la nicchia conosciuta ed il largo orizzonte sono lo stesso luogo, così come lo stare con me stesso ed il sentirsi parte sono la stessa percezione. Lo Stato di Grazia. Lo sguardo si alza e cerca, è sufficiente; attorno a me nessun corpo, non lo cerco, è superfluo. Sto, e ascolto la Grazia. Il saluto è per regalarmi una memoria. Riprendo il saliscendi per ritrovare una cosciente presenza, lascio la Grazia con la promessa di tornare, adesso cerco la prossimità con gli altri, per raccontare. Sono qui. E io ti ringrazio.
#23 CATERINA CORAPI
Albero solitario, fruscio dell’erba, assenza di gravità. Tutto sospeso. Gli uccelli in lontananza. Una presenza lungo il corpo. Un’estensione lunga e profonda. Sprofondare nella terra. Odore di erba bagnata di rugiada. Sei ancora qui una voce in lontananza
#24 MARIA PAOLA COLOMBO
Il mio Luogo di Grazia è un giardino. Prima l'ho visto attraverso una finestra, poi sono uscita dalla cucina e sono entrata in questo spazio verde. Davanti a me c'era un grande tiglio. Potevo sentire l'odore della menta e del rosmarino bagnati di rugiada e il fruscio di un gatto che attraversava il cortile per venire a sedersi al sole accanto a me. Era un luogo vivente. Vibrava il tiglio fitto di uccelli e la terra con i suoi insetti. Quel luogo si chiama casa perché è il posto dove andrò ad abitare fra due, cinque o venti anni. E ‘un luogo che mi attende.
#25 LORENA RANIERI
Il primo posto che è arrivato è il mare calmo, piatto che da bambina vedevo dal balcone della casa di mia nonna in Calabria. Una buona notizia per noi bambini. Proprio sulla spiaggia davanti alle onde. Lì mi sono ritrovata. Tra le onde così piccole, un movimento così leggero e discreto. I rumori erano così chiari e riuscivo a distinguere i sassi bagnati di varie grandezze sotto i miei piedi. Questo mi ha colpito. E il fatto che sia anche un luogo doloroso mi ha stupito. Mi sono commossa perché sono stata bene in un angolo pieno di bellezza nonostante le persone che non ci sono più. La Grazia è stato accorgermi che è lì che il mare rimane a mia disposizione, così bello e generoso. Il freddo dell’acqua sui piedi e l’odore indistinguibile del fresco e della mattina silenziosa. La luce chiara del sole che comincia a scaldare tutto. Qualche grida di pescatori all’opera. Tutto qui a mia disposizione. E tornare alla mia stanza è stato bello comunque, come se avessi acquisito un tempo diverso che non mi stavo ancora concedendo davvero. Grazie,
di avermi lasciato andare lì.